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domenica 15 marzo 2009

Oggi è la sua festa. Il vecchio campione si racconta

E’ l’azzurro che ha vinto più medaglie alle Olimpiadi: ben tredici (sei d’oro) in cinque partecipazioni ai Giochi, dal ’36 al ’60, dividendosi tra spada e fioretto.

Da “Il Veterano Sportivo”  marzo 2009

Marco Arceri


Il presidente del Coni Gianni Petrucci
premia Edo Mangiarotti

La gioventù

Importante vincere non partecipare Poco decubertiniano ma ha funzionato.
È l'insegnamento che mio padre ha sempre dato a me e a mio fratello: mettercela tutta.
Edoardo, nessuno ha mai vinto quanto lei alle Olimpiadi.
"lo e mio fratello Darlo andavamo ai Giochi per vincere. Per noi l'importante non era partecipare, ma, appunto, vincere. Forse non troppo decubertiniano, ma dentro di noi la molla era propria quella: mettercela tutta".
Un insegnamento di suo padre Giuseppe.
"Sì, a fianco della tecnica. E in questo c'era tutta la sua personalità di uomo che si innamorò della scher­ma, facendone la sua ragione di vita, per una sfida con un suo amico, Roderico Rizzotti, giornalista e schermidore praticante. Mio padre aveva tirato da studente: prese le­zioni da un grande maestro, Enrico Lancia di Brolo, vin­se la sfida e non smise più".
Divenne un grande Maestro, l'uomo che ha portato lei e suo fratello Dario a dominare nel fioretto e nella spada.
"lo ho cominciato a otto anni, da fiorettista, per passare alla spada un anno e mezzo più tardi, ma continuando a tirare in entrambe le armi. Destro naturale, mio padre mi trasformò in mancino, un po' perché fisicamente ero un po' smilzo, ma soprattutto perché il suo grande av­versario, Lucien Gaudin, lo schermidore che lui ha maggiormente ammirato e che ha affrontato per ben 22 volte, impugnava con la mano sinistra. E mio padre ave­va deciso che almeno uno dei suoi figli avrebbe tirato di mancino. Toccò a me".
Carriera precoce la sua.
"A 14 anni mi classificai al quarto posto nel campionato Balilla a Tripoli. C'era anche Nedo Nadi, che mi vide e dis­se che sarei arrivato in alto. Tre anni più tardi, ne ave­vo appena 17, mi convocò per la squadra di spada ai Giochi di Berlino - facendo fuori mio fratello Dario - insieme a Pezzana, Ragno e Cornaggia. Detti un buon contributo, anche in finale quando feci 3-0 con Buchard e Dulieux, 3-1 con Pellieux, pareggiando infine con Schmitt: 3-3".
Il totale fa 12-4 sul 42-30 finale: quell'oro può considerarsi soprattutto suo. E aveva appena 17 anni.
"Un buon inizio, ma soprattutto l'insegnamento di mio padre e la fiducia di un grandissimo personaggio del­la scherma come Nedo Nadi".

La storia
Ero vicino ad Hitler quando Owens vinse l’oro se ne andò dcendo "schwein"
Ho sempre amato la spada perché ero io il migliore. Nel fioretto davanti c’era D’Oriola.
L'Olimpiade di Berlino ha un valore importante per lei, anche per un ricordo che l'accompagna da sempre.
"La tribuna degli atleti era vicinissima a quella dei ge-rarchi. Quando Owens vinse la gara del lungo, noi era­vamo lì sotto che attendevamo la premiazione della nostra gara: allora tutte le medaglie venivano consegnate nel grande Stadio Olimpico. Quando Jesse superò con un salto eccezionale la misura di Luz Long, vidi chiaramente Hitler alzarsi di scatto, pronunciare la parola "schwein", che vuoi dire "porco", e allontanarsi in fretta per evita­re di premiare Owens, un atleta nero e da sempre uno dei miei amici più cari".
Nella sua vita, la musica, e in particolare la lirica, ha avuto un ruolo importante.
"È vero, mio nonno, Edoardo Garbin, secondo marito di mia nonna, Adelina Sthele, era tenore, mia nonna so­prano, amici di Giuseppe Verdi e di Pietro Mascagni. Siamo cresciuti in quel mondo, e Dario, mio fratello, aveva una bellissima voce".
Tra la musica, il suo ritmo, e la scherma forse c'è più di un elemento in comune.
"Sicuramente. Mio padre, nel suo libro, ha dedicato un capitolo per sottolineare quanto il tempo e le battute del­la musica abbiano importanza nella tecnica schermistica. Quando ho affiancato mio padre nell'insegnare scher­ma, nelle nostre palestre le lezioni venivano svolte a rit­mo di musica per accompagnare appunto il tempo e la completezza del movimento". Campione di spada e di fioretto: qual era l'arma che preferiva?
"Sicuramente la spada, dove ho ottenuto i risultati migliori. Nel fioretto, invece, ho sempre avuto davanti nel mio ciclo schermistico un certo D’Oriola È stato il mio grande avversario. Ma nei suoi confronti ho un piccolo vantaggio: quando lui ha provato a fare spada non ha mai ottenuto grossi risultati, io, invece, qualche soddisfazione me la sono tolta anche con il fioretto".
Le piace la scherma di oggi?
"L'elettrificazione purtroppo l'ha cambiata parecchio, eli­minando i giurati, ma, va detto, anche molte decisioni ingiuste incompetenti".

I giudici
Gli arbitri sbagliano. Nel 1948 un inglese ci tolse l’oro. Anni dopo chiese scusa
Non ho mai polemizzato con i giudici: se perdevo, tor­navo in palestra a lavorare di più
Resta forte il potere degli arbitri. Qualche esperienza negativa l'ha vissuta anche lei nella sua lunga carriera.
"Ricordo il 1948 e i Giochi di Londra: un'Italia-Francia con noi già ad otto vittorie. Poi va in pedana Nostini e il giudice inglese fa perdere Renzo 5-0, costringendo­ci per una sola stoccata al secondo posto. Qualche anno dopo ci chiese scusa".
Non c'era ancora l'elettrificazione.
"Contava il giudizio dell'arbitro che aveva dunque un po­tere totale. Di fatto, i primi esperimenti con la spada so­no cominciati negli Anni Trenta, nel '55 con il fioretto, solo nell'80 con la sciabola. lo,per il mio ruoto nella Federazione Internazionale, ho seguito tutti i processi, mettendo a frut­to anche i miei studi di perito radiotecnico".
Ha riferito un episodio di giudizio arbitrale inesatto, se non in malafede. Ma lo fa a distanza di... sessantanni. Lei non ha mai criticato apertamente l'operato dei giudici.
"È un fatto di cultura e di educazione. Merito una volta di più di mio padre, grande educatore oltre che grande maestro di scherma. Non l'ho mai visto discutere una decisione arbitrale. Dal 1928 al 1960, da quando ha co­minciato ad allenarmi, a quando ho smesso di tirare, non l'ho mai sentito dire nulla sui giurati che sbagliavano. Piuttosto, vinta o persa che fosse la gara, ci rispediva in palestra a lavorare". Si è sempre parlato di un rapporto conflittuale con Nostini.
"Abbastanza vero, ma per motivi di politica sportiva per­ché io sono sempre stato molto vicino al Coni e ad Onesti in quel tempo, anche per i miei incarichi di presidente dell'Unione Nazionale Veterani dello Sport e dell'Associazione Medaglie d'Oro al Valore Atletico. Ma poi siamo tornati amici".
Ed ha uno splendido ricordo di Giulio Gaudini."Un grande cuore, una splendida persona. Con lui dividevo la stanza".
La sua famiglia è sempre vissuta nella scherma.
Un po' meno mia moglie Mimi, mentre mia figlia Carola ha preso parte ai Giochi di Montreal e Mosca oltre che a sei edizioni dei Mondiali".

I campioni
Vezzali, vincente nata: ottima tecnica e la mentalità giusta e non ha mai paura.
Le ho parlato: vuole arrivare Giochi dì Londra per vin­cere il sesto oro, come me.
La scherma, l'abbiamo già detto, è molto cambiata, ma l'Italia continua a dominare. Ha grandi campio­ni e, visti i risultati delle ultime rassegne giovanili, un futuro ancora eccellente.
"È vero. La nostra è sempre una buona scuola, e si con­tinua a ottenere soddisfazioni anche se la scherma a buon livello si è ormai diffusa parecchio".
Il campione che apprezza di più? "
È una campionessa, e si chiama Valentina Vezzali. È una vincente nata. Oltre ad una ottima tecnica, ha anche la mentalità giusta. Non ha paura di niente, tira impo­nendo sempre la sua scherma. Le ho parlato poco tempo fa e mi ha confessato che vuole andare a Londra per arrivare a sei medaglie d'oro, come me. Glielo au­guro di tutto cuore e so che può arrivarci. Ha una capacità unica nel comprendere il punto debole delle avversarie. E non va per intuito, ma per ragionamento".
Anche tra gli uomini c'è qualcosa di buono.
"Come no. Aldo Montano ad esempio, che ha alle spal­le una grande tradizione familiare e possiede grossi mez­zi. Dopo Atene avrebbe potuto fare molto di più senza quell'esperienza televisiva, poi ci si è messo anche l'in­fortunio. Ma ha dimostrato a Pechino di essere anco­ra tra i migliori in assoluto". Da grande spadista, può dare il giudizio più corretto su MatteoTagliariol.
"È un ragazzo molto dotato, con tanta tecnica, un tem­po superiore, rapido nel piazzare la stoccata e con un gran­de senso della misura. Ha vinto l'oro a Pechino, ma può raggiungere qualsiasi risultato, a patto di continuare a pren­dere lezioni, invece di inseguire esperienze televisive".
 Sembra di capire che, secondo lei, nemmeno un campione affermato possa fare a meno del lavoro continuo in palestra.
"Non lo dico solo io, ma ogni maestro, chiunque inse­gni scherma. Bisogna continuare a lavorare, per migliorare sempre più la tecnica perché con il passare degli anni il fisico si appesantisce e i riflessi si appannano. L'unico rimedio è la lezione".

(tratto da Il Corriere dello Sport,
martedì 7 aprile 2009)

Le foto pubblicate su questo numero de II Veterano Sportivo e riguardanti Edo Mangiarotti sono state gentilmente offerte da Omega Fotocronache di Vitaliano Liverani, che ringraziamo sentitamente