Mangiarotti, i magnifici 90 anni dello schermitore che ha vinto più di ogni altro azzurro
Da “Il Veterano Sportivo” marzo 2009
Carlo Santi
Mangiarotti con il direttore del nostro giornale Monti ed il presidente del Coni Lombardia arch. Zoppini |
Una vita sempre al massimo, una carriera bella come una favola, indimenticabile. Edoardo Mangiarotti, l'azzurro della scherma che ha vinto più d'ogni altro italiano ai Giochi Olimpici, tredici medaglie tra il 1936 e il 1960 e in due occasioni, 1956 e 1960, anche alfiere azzurro, il prossimo 7 aprile compie novant'anni.
Lucidissimo, i ricordi che affiorano, immagini nitide di un passato in pedana ricco di gloria in un flashback dove neppure un fotogramma viene dimenticato. Ricordi che partono da Hitler e arrivano al Tibet, ossia da Berlino1936 a Pechino 2008. E sono 17 edizioni dove il commendator Mangiarotti è sempre stato presente. "Nel '36 avevo 17 anni. Ero emozionato per l'Olimpiade ma mi rendevo conto che qualcosa non andava. C'era tanta messa in scena e si capiva che le cose non si mettevano bene. Troppa apparenza politica, bandiere dappertutto". In quel tempo, le medaglie di ogni sport venivano consegnate nello Stadio Olimpico. "Ero allo stadio per la premiazione, proprio sotto la tribuna delle autorità. Ero, e lo sono stato sempre, amico di Owens. C'era la finale del lungo e assisteva Hitler. Che al salto di Jesse che superò Luz Long si alzò di scattò e disse, lo ricordo perfettamente, schwein, porco. E andò via". Rabbia ai Giochi del ritorno, nel '48 a Londra. "Eravamo in vantaggio 8-7 sulla Francia nella finale del fioretto. Un giudice, un inglese che anni dopo ci ha chiesto scusa, ci ha fatto perdere. Un arbitraggio scandaloso, osceno, ha messo Renzo Nostini k.o., 0-5". Con Renzo, il rapporto è stato a tratti conflittuale. Lo è stato per ragioni politiche. "Io ero dalla parte di Onesti e questo ha creato qualche attrito. Poi siamo tornati amici". Con un altro campione del passato, Mangiarotti ha un legame stretto anche se il loro rapporto è durato poco. "Giulio Guadini, che se n'è andato troppo presto. Ero in stanza con lui e con lui ho combattuto una sola volta, a Milano in una semifinale".
Lucidissimo, i ricordi che affiorano, immagini nitide di un passato in pedana ricco di gloria in un flashback dove neppure un fotogramma viene dimenticato. Ricordi che partono da Hitler e arrivano al Tibet, ossia da Berlino
Innamorato dello sport e delle Olimpiadi, Mangiarotti da Berlino '36 non ha saltato un'edizione, neppure Pechino, l'estate scorsa, nonostante pochi mesi prima un ictus lo avesse colpito, "Ero già in finale ai campionati italiani a Tripoli a 14 anni - ricorda nel suo ufficio milanese - e da li è nato il mio spirito olimpico". Edoardo Mangiarotti ha attraversato un secolo di sport ma la vicenda, o meglio la saga dei Mangiarotti, comincia con il padre Giuseppe e con una sfida, un duello alla spada. "Era il 1906 e mio padre, che aveva vissuto a lungo a Losanna, incontrò Roderico Rizzotti, giornalista e campione di scherma. Tra i due nacque una discussione. Papà diceva che in pedana occorreva la forza, Rizzotti ribadiva che serviva l'abilità". Per vincere, nonostante Rizzotti gli avesse concesso un vantaggio di 8 stoccate, Mangiarotti senior si affidò a Lanza di Brolo, un siciliano che insegnava a Buenos Aires e che in quel periodo era in vacanza a Milano. Il duello è vinto da Mangiarotti che, come folgorato da quello sport, lascia il suo lavoro (commerciante di automobili) per diventare schermidore tanto bravo da meritarsi la chiamata nella squadra azzurra della spada a Londra 1908, quarti in quel 24. luglio giorno dell'impresa di Dorando Pietri. A Renate, provincia di Milano, nel 1919 nasce Edoardo (nel 1915 era nato Dario, anche lui grande interprete della scherma, e nel 1921 Mario). Edoardo, che era destro, è stato impostato come mancino dal padre. "In questo modo potevo creare maggiori problemi agli avversali", spiega Edo che ha frequentato, a Milano, la scuola per radiotecnici. "Un diploma che mi è servito per risolvere i problemi elettrici della scherma", osserva.
Atleta ma anche giornalista, responsabile della scherma per La Gazzetta dello Sport. Nel 1952, i Giochi della rinascita, Mangiarotti vinse due ori e due argenti, "E c'era anche mio fratello Dario che ha vinto l'argento: il trionfo di papà". Doveva mandare il pezzo, Edo, ma si addormentò. "Arrivai un più tardi in sala stampa e quando Gianni Brera, il direttore, ma anche Zanetti, mi vide, si arrabbiò con me. Brera mi disse di sbrigarmi e poi, dopo un po', mi chiese: "chi ha vinto?". "Io", gli dissi. E lui, con il suo fare, di rimando: "ma vada via....".
Mangiarotti guarda lo sport di oggi con i suoi occhi. "Le Olimpiadi? Sono diventate un grande spettacolo, fatto anche per la televisione". La tivù che, intanto, ha stravolto molte cose. "Gli atleti ci vanno perché li chiamano. Offrono denaro e tutti si adeguano. Guardi, anch'io sarei andato. Ma ai miei tempi con c'erano case, fattorie, reality". Sport e politica. "Deve esserci un freno. Tra poco ci saranno le elezioni al Coni. Mi auguro che Petrucci rimanga al suo posto. Sento il nome di Barelli che sarebbe sul punto di candidarsi. No, non va bene, non ritengo che la politica entri nel Palazzo".
(tratto da Il Messaggero, lunedì 30 marzo 2009)
Le foto pubblicate su questo numero de II Veterano Sportivo e riguardanti Edo Mangiarotti sono state gentilmente offerte da Omega Fotocronache di Vitaliano Liverani, che ringraziamo sentitamente