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mercoledì 1 aprile 2009

*** L’Ultimo Asterisco ***

Da "Extra" aprile 2009 edizione straordinaria
Raccontaci una favola, Franco

*** L’Ultimo Asterisco ***
di Franco Auci


Franco Auci
Ha voluto stupirci ancora. Fino all'ultimo...respiro.
Da tempo avvertiva un insopprimibile bisogno di scrivere sull'ex mercato del pesce di Trapani. Sulla sua "Chiazza".
Ne avrebbe fatto oggetto di un articolo sul nuovo numero di "Extra".
«Un argomento di tale levatura - diceva - non è da Asterisco».
Ecco perché, nei giorni scorsi, avevamo chiesto al nipote Rino (che ringraziamo per la preziosa collaborazione) di "frugare" nella memoria del computer di suo zio.
Dalla ricerca salta fuori un file denominato "Asterischi 5", contenente il pezzo sulla "Chiazza", datato 15 marzo 2009.
Lo sottoponiamo alla vostra attenzione, come Patto di commiato da parte di un uomo, il "Signor Giornalista", Franco Auci, che ha amato come pochi questa città e i suoi "simboli".


L'estate scorsa mi sorprese parecchio la telefonata di un mio amico che mi annunciava il suo ritorno a Trapani dopo ben dodici anni. "Sai, mi son messo in
pensione e non vedo l'ora di tornare nella mia città. Preparati, perché, come il solito, la rivisiterò in lungo e in largo”. Un po' tutti siamo orgogliosi della nostra Trapani, ma questo mio amico lo è in maniera particolare. Per farvi un esempio, quando ospitammo le gare veliche in vista della Coppa America mi telefonava giornalmente, perché, seguendo le riprese televisive, andava in  estasi  e  non  mancava d'invitare colleghi d'ufficio ed amici ad ammirare la  sua  città,   quanto  Trapani   stava dimostrando di poter fare.
La vigilia di Sant'Alberto, mentre uscivo per la mia solita passeggiata mattutina, squilla il telefono. È lui che mi dice: “Arrivo stasera. Ci vediamo domani alle nove e facciamo un bel giro". L'indomani un buon caffè e via. "Dove andiamo?", chiedo. "Prima di tutto alla Madonna", risponde, "e poi a Chiazza". Tappa obbligata il Santuario e, di passaggio, visto che ricorre la festa del Santo Patrono, ne approfitto per fargli vedere quanto è stato realizzato in Piazza Martiri d'Ungheria, che lui però chiama da sempre Piazza Stovigliai. Osserva e fa una smorfia. Non mi sembra granché contento, ma non vuole commentare. Le sue parole comunque valgono più di un commento: "Tiriamo avanti", si limita a dire. Ultimata la visita al Santuario, si va verso il centro e, arrivati al porto, il mio amico comincia a darsi da fare per posteggiare. Gli faccio notare che non è il caso di cercare un posto da quelle parti, perché in Via Cristoforo Colombo o nei pressi non dovremo avere particolari problemi. Mi guarda allibito e risponde: “Cosa dobbiamo andare a fare ai Cappuccini? Noi a Piazza Mercato del Pesce dobbiamo andare!” Non mi sfugge il fatto che non l’abbia chiamata Chiazza e ne sono sorpreso. Provo a dirgli che, cosa cerca lui, non è più nello stesso posto. Mi guarda strana lato. Allora gli illustro la situazione, aggiornandolo. Cambia volto e mi fissa inviperito, come se fossi io il colpevole. Chi china sul volante e, non riuscendo a dire altro, ripete continuamente: “Matra mia,‘a Chiazza mi livaru!, “Matra mia, ‘a Chiazza mi livaru!, “Matra mia, ‘a Chiazza mi livaru! 

'A Chiazza

Sembra una litania interminabile. Poi, con gli occhi lucidi, mi dice: “Ma ‘u sannu socch’era ‘a Chiazza p’u trapanesi?”
Riprende la litania: “’A Chiazza mi livaru! Comu pottiru fari!”
A questo punto mi guarda stizzito e mi chiede: “ E chi ci fannu ora a Chiazza” Spiego e trasecola. E continua a ripetere: “Matra mia, ‘a Chiazza mi livaru! Comu pottiru fari!”
Andiamo ugualmente. Arriva, guarda e nei suoi occhi leggo una tristezza infinita. “Ci pensi?, mi dice, Carta! Carta!” Guarda quel loggiato vuoto e ripete: Carta! Carta!”.
E continua a guardarmi, Quassi a cercare conforto che non posso dargli. Un ultimo sguardo a quella piazza vuota, e via, con un ultimo amaro commento: “Ma chi Trapani è chista, senza cchiù ‘a Chiazza? Ma come pottiru fari? Ma tu lu capisci? ‘U cori ni livaru! A Chiazza c’ivi puru quann’era malutempu. Era la vita, era ‘na festa! Livaru ‘na festa e ni ficiru un chiantu!”.